Sferragliava il treno sulle rotaie.
Tra le braccia della mamma,
l'odore acre di ferro e polvere
e il pianto di altri bambini,
ore... giorni...
non sapevo più quanti.
Avevo fame.
Papà non c'era, Anna neppure.
Mamma ripeteva: Fai la brava
dopo... andrà meglio.
Così quel dopo lo coloravo,
lo vestivo nella mente.
Immaginavo prati verdi
un aquilone da far volare,
una bambola di pezza da cullare,
mia sorella che mi abbracciava,
mi raccontava fiabe,
e la fame dimenticavo.
Certo non immaginavo il lupo
di Cappuccetto rosso,
solo lui avrei incontrato.
Mamma non c'era più
e neppure il cacciatore,
neanche la bambola, le fiabe,
i fucili invece sì, pronti a sparare.
Circondata dalle torture,
dalla paura, dalla violenza
non volevo essere triste,
così ogni giorno contavo gli uccelli
che si posavano sul filo spinato.
Quattro, cinque e poi solo due o tre,
potevano andarsene, io no.
Allora chiudevo gli occhi
e sognavo. Sognavo i lori voli.
Sognavo di volare anch'io,
lontano,
oltre la fame, la morte,
oltre quel filo spinato.
Libera e leggera nel vento
e la libertà prendeva il colore
azzurro del cielo,
del giardino di casa,
degli occhi della mamma.
Non volevo morire, ma non sapevo volare
e non volevo essere triste,
così sognavo.
Stefania Pellegrini©
Anno 2025 - Inedita
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